Si sono spenti i
riflettori sul convegno del 9 aprile 2016 scorso sui disturbi specifici di
apprendimento con soddisfazione per il successo di pubblico e per i numerosi
riconoscimenti di valore manifestati in modo aperto e autentico dalla
stragrande maggioranza dei partecipanti. Nel clima di fervore post convegno e
proprio in virtù delle differenti posizioni emerse ai margini e dopo, siamo
ancora a chiederci – come nel gioco dell’oca - Perché un convegno sui DSA?
Le ragioni erano
e restano molte. la rivolta politico sociale nei confronti di una legislazione
inadeguata a tutelare i bambini, Il desiderio di conoscenza scientifica e con
esso l’apertura verso le neuroscienze che, a partire da un punto di
osservazione e da un oggetto osservato diverso da quello psicoanalitico, stanno
portando un grande contributo alla conoscenza del mondo dell’infanzia; una
preminenza di mercato della riabilitazione neuro cognitiva o della logopedia
spacciati come gli unici rimedi per i bambini con disturbi di apprendimento.
Ma la madre di
tutte le domande era e resta: esistono i “disturbi specifici di
apprendimento? O meglio: posto che i disturbi di apprendimento esistono, esiste
il costrutto DSA così come formulato dall’ICD-10 e adottato dalla Consensus
Conference e dagli atti ministeriali?
Quando questo
convegno è stato concepito, la risposta a questa domanda probabilmente non era
chiara per nessuno di noi. O meglio: esisteva un fondato sospetto della
inutilità di tale costrutto, ma di fronte a un Parlamento Italiano che ha
ritenuto addirittura di dover legiferare in proposito e di fronte a monumenti
quali l’ICD-10, il DSM 5 o i documenti ministeriali che hanno preceduto e
seguito la Legge n. 170 del 2010 il nostro sospetto di inutilità poteva
sembrare quasi incredibile e temeraria ogni critica.
Nel 2016 il
dilemma si è rivelato non poi così peregrino visto che in pochi mesi
stanno fiorendo convegni nei territori del Centro Nord promossi da parti del
Movimento Psicoanalitico:
- 5 marzo all’AIPPI di Roma;
- 12 marzo al Niguarda di
Milano;
- 12 Marzo nella sede del
Centro Bolognese di Psicoanalisi;
- 9 aprile il nostro Convegno
di Loreto;
- Settembre prossimo di nuovo
all’AIPPI di Roma;
- Novembre prossimo presso il
Centro D’Intino a Pavia ecc….;
Solo per citare
le iniziative attualmente conosciute. E’ la riprova che la questione ha una sua
ragion d’essere, urgente e pressante.
Che esista la
dislessia, la disortografia, la discalculia e la disgrafia non è in
discussione. Ma ciò che qualifica il costrutto del DSA è la “S”, cioè la
“specificità” del disturbo su base neurobiologica in virtù della quale si
presupporrebbe che esista un bambino felice ed equilibrato che, ohibò, per una
fallace maturazione del sistema nervoso, non automatizza i meccanismi di
funzionamento di quelle parti del cervello che sovraintendono alla lettura,
scrittura, calcolo ecc.
La “specificità”
del disturbo è la chiave di tutta la questione posta. E per questo motivo la
figura del neuro scienziato al nostro Convegno era indispensabile: per
chiarirci in virtù di quali ricerche, di quali fatti osservati e di quali
interpretazioni si sostiene la specificità neurobiologica dei disturbi. Perché
adottando un punto di osservazione clinico… questa base neurobiologica non la
si vede. E questo, della “specificità”, è aspetto dirimente per la
sostenibilità del costrutto di DSA. Senza la specificità neurobiologica
non c’è DSA. Ma DAA (disturbo aspecifico di apprendimento). Nel
corso degli ultimi decenni è stata prodotta una grande quantità di ricerche
neuro scientifiche che hanno individuato delle correlazioni tra ad esempio
l’esistenza di una dislessia ed una particolare reattività di specifiche aree
del cervello. Ma come valutare tali correlazioni? In virtù di esse autori i più
disparati hanno coniato molte teorie sull’origine neurobiologica della
dislessia…teorie appunto, cioè interpretazioni non incontrovertibili.
Nel campo
dell’autismo le neuroscienze pare abbiano trovato fattori circostanziati che da
più parti sono ormai riconosciuti come fattori di vulnerabilità corporea di
base o neurobiologica. E’ probabile che possano esistere anche per i disturbi
di apprendimento alcuni fattori di vulnerabilità corporea di base che rendono
questi bambini svantaggiati fin dall’inizio della vita. Ma sappiamo anche che
le cellule corporee entrano in contatto con l’ambiente fin dallo stato di
gravidanza della madre e che questo ambiente è in grado di condizionare la
selezione dei geni (attivi o silenti) e i meccanismi di riproduzione delle
stesse cellule nervose. L’intreccio tra natura e cultura, tra base biologica e
ambiente in cui il soggetto è immerso costituiscono un unicum inestricabile fin
dagli albori della vita. Ragion per cui noi diciamo che il soggetto è una unità
somatopsichica e che non è possibile conoscerlo separando il corpo dalla
psiche.
I fautori del
costrutto del DSA invece fanno proprio questo: considerano il corpo come una
macchina di cui indagare i processi di funzionamento evitando di occuparsi
delle emozioni del soggetto e delle sue interazioni con l’ambiente.
Sostanzialmente tali fautori, non occupandosene, sembrano denegare l’esistenza
e l’importanza del mondo emotivo-relazionale. Il costrutto del DSA si basa
su tale diniego: nella definizione della classe ICD-10 F81 il manuale statistico diagnostico recita:
“Le condizioni incluse in questa sezione hanno in comune: a) un’insorgenza che
invariabilmente si colloca nella prima o seconda infanzia; b) una
compromissione o un ritardo nello sviluppo di funzioni che sono strettamente
connesse con la maturazione biologica del sistema nervoso centrale; c) un
decorso continuo, senza remissioni e recidive.” . Nella Consensus Conference si
allude anche a test per misurare l’intelligenza che non deve risultare
deficitaria. L’intelligenza cui si allude è quella testata con la WISC e
similari, test utile ma altamente riduttivo rispetto alla complessità della
persona. Si precisa inoltre che la diagnosi di DSA può essere stilata solo dopo
i sette anni di età del bambino: nella batteria di test consigliata anche a
livello ministeriale il bambino sottoposto a valutazione funzionale deve
risultare al di sotto della seconda deviazione standard in gran parte delle
prove previste, ma alla WISC deve mostrare un QI nella media. I test sondano le
capacità di lettura e di comprensione del testo, le capacità ortografiche e di
calcolo senza minimamente tenere in conto la storia affettiva e relazionale
del bambino. Né i protocolli diagnostici in voga sono vincolanti in tal
senso. I criteri adottati e conseguentemente gli strumenti si limitano a
sondare il funzionamento di alcune abilità considerandole slegate dalla persona
nel suo insieme. Che cosa ci può rappresentare dunque una diagnosi di
questo tipo, a noi che siamo abituati a considerare ogni bambino in tutta la
sua complessità? Nelle teorie e nei percorsi di formazione delle scuole a
orientamento sistemico-relazionale si usa utilizzare lo strumento della mappa
per rappresentare, semplificandole graficamente, le relazioni tra individui e
nel gruppo, in analogia con le mappe geografiche che sono una semplificazione
in scala della realtà. Ma nella fattispecie del costrutto di DSA non ci
troviamo di fronte neanche a delle mappe della complessità, quanto piuttosto ad
una descrizione riduttiva del bambino per via di dissociazione e diniego,
in cui una parte della realtà del bambino non è semplificata ma più radicalmente
mozzata e ignorata.
E poi, che cosa
ci può – a quell’età - mai dire una diagnosi siffatta a sette anni del bambino,
sulle cause di un disturbo di apprendimento, quando nella vita del bambino è
già successo di tutto, quando il bambino ha già vissuto fatti relazionali
decisivi per la sua formazione e il suo sviluppo futuro, fatti che con quel
metodo e protocollo diagnostico non vengono minimamente considerati?
Si ha
l’impressione che alcuni attuali sostenitori in Italia dell’esistenza dei DSA
ci presentino delle semplici correlazioni tra il disturbo di
apprendimento e il comportamento di alcune aree del cervello come la causa (causalità
lineare) del disturbo. A noi pare che le correlazioni dei neuro scienziati,
al di fuori del danno cerebrale accertato, hanno lo stesso peso delle
correlazioni trovate dagli psicoanalisti nel corso del loro lavoro di ricerca.
I neuro scienziati osservano correlazioni tra il disturbo e alcuni assetti
cellulari; lo psicoanalista individua le correlazioni tra il disturbo ed alcuni
aspetti ambientali. Nessuno dei due può sostenere che la correlazione trovata
corrisponda alla causa (lineare) del disturbo. Si può dire solo che sono
state individuate delle correlazioni tra fattori e sintomo, ma non la causa.
A tale proposito
è interessante un testo di alcune lezioni tenute all’Università di Roma da
Cesare Cornoldi (Cfr. “Pegaso-Università telematica; lezione: varietà dei
disturbi specifici di apprendimento”) e pubblicate nella rete, di cui
riportiamo qui di seguito alcuni brani. Cesare Cornoldi è uno psicologo
cognitivista che tra i primi in Italia ha studiato i disturbi di apprendimento
e messo a punto con la sua équipe alcuni test specifici per sondare le abilità
linguistiche dei bambini, test “MT” che rientrano nell’elenco consigliato dalla
Consensus e dal Ministero per la diagnosi di DSA nei servizi pubblici e privati
convenzionati:
“L’approccio ‘neurocostruttivista’ allo sviluppo
normale e patologico (per una rassegna si vedano Karmiloff-Smith, 1998; Ansari
e Karmiloff-Smith, 2002; Scerif e Karmiloff-Smith, 2005) riconosce pienamente
il ruolo dei vincoli biologici innati (fattori genetici), ma – diversamente
dagli innatisti – considera questi vincoli meno forti e meno dominio-specifici,
distanti e distinti dalle funzioni neuro cognitive di ordine superiore.
Considerando il protratto periodo di sviluppo post-natale necessario alla
formazione delle funzioni dominio-specifiche della neocorteccia, si ritiene che
è il processo di sviluppo stesso a giocare un ruolo cruciale nel determinare il
risultato finale. In questa prospettiva, la modalità di elaborazione degli
stimoli ambientali da parte del bambino viene costantemente influenzata dal suo
livello di sviluppo e la rappresentazione dominio-specifica (i.e., il modulo) è
solo il risultato finale dell’intero sviluppo (…) la questione della
compresenza di più disturbi (la cosiddetta comorbilità), molto rilevante nella
pratica clinica viene liquidata da alcuni approcci biologici, come semplice
disturbo associato, ma non causalmente legato al DSA. La logica sottostante è
quella di una rigida applicazione di un modello in cui un’unica causa sarebbe
alla base di uno specifico DSA (…) Molti dibattiti e controversie circa le basi
neuropsicologiche dei DSA nascono proprio da una scorretta applicazione della
logica neuropsicologica cognitiva mutuata dall’adulto, in cui i modelli
deterministici di tipo uni-causale possono realmente spiegare il deficit di
una funzione specifica (e.g., sintesi fonologica) corrispondente al modulo
danneggiato (e.g., memoria fonologica) oppure al circuito neurale alterato o
disconnesso. Invece, durante lo sviluppo, una funzione neuropsicologica
difficilmente può essere ridotta ad un insieme di moduli che compongono un
circuito precostituito. In concordanza con queste osservazioni, gli
emergenti modelli causali hanno riconosciuto la natura probabilistica e
multifattoriale delle disfunzioni neuropsicologiche sottostanti ai DSA (e.g.,
Pennington, 2006). Riassumendo, l’approccio neuro costruttivista interpreta il
DSA come il risultato distale e indiretto di disfunzioni di processi di
elaborazione precoci (e.g., l’atipico sviluppo delle abilità visive e uditive
di base per la dislessia e delle abilità numeriche di base per la discalculia) piuttosto
che come il risultato di uno specifico modulo cognitivo danneggiato (e.g.,
danno del modulo ‘fonologico’ per la dislessia e del modulo ‘numerico’ per la
discalculia). Diversamente dagli empiristi, i neurocostruttivisti riconoscono
il ruolo di specifici fattori innati (e.g., fattori genetici), ma, diversamente
dai classici approcci neuropsicologici, assumono che questi abbiano
inizialmente un effetto ampio e diffuso (dominio-rilevanti), diventando
dominio-specifici con i processi di sviluppo e con le specifiche interazioni
ambientali. In questa prospettiva, i moduli sono considerati il risultato
finale di processi evolutivi di ‘modularizzazione’. Una importante conclusione
a cui conduce l’approccio neuro costruttivista applicato alla neuropsicologia
evolutiva è che i DSA non sono così specifici, come lo sono invece alcuni
disturbi acquisiti. Quest’ultima conclusione trova una fortissima conferma
nella realtà della pratica clinica in cui, ad esempio, un bambino dislessico è
molto probabilmente anche disortografico, disgrafico, discalculico, e spesso
manifesta sintomi di disturbo da deficit dell’attenzione, o della coordinazione
motoria.”
Tutto ciò
premesso a noi sembra che il costrutto “DSA” è privo di fondamento
poiché si basa sulla specificità neurobiologica dei disturbi che …non esiste
visto che le cause appaiono sempre più come multifattoriali.
Se il DSA non
esiste, l’idea di raccontare al Convegno una psicoterapia di un bambino con DSA
era compito impossibile. E infatti i casi presentati al convegno avevano
disturbi di apprendimento e di linguaggio aspecifici (DAA), cioè con eziologia
multifattoriale. La bellezza dei casi presentati risiede proprio nel fatto che
i bambini trattati con psicoterapia psicoanalitica hanno ripreso il loro
sviluppo in modo armonico e sono vistosamente migliorati sia per gli aspetti
relazionali che per quelli curriculari scolastici rilevabili attraverso le
insegnanti, ivi compresi la lettura, la scrittura e il calcolo. In definitiva,
l’aspettativa di ascoltare il racconto di trattamenti di bambini con diagnosi
di DSA si fondava sul principio della veridicità di tale diagnosi che a nostro
avviso vera non è e non poteva esserlo per i motivi precedentemente espressi.
Le questioni da
noi sollevate hanno acquistato, negli ultimi sei anni, a livello sociale e politico,
una rilevanza di primo piano: per il numero di bambini coinvolti ha ormai uno
spessore maggiore, rispetto alla questione recentemente assurta alla ribalta
nazionale, del cosiddetto spettro autistico. Come per l’autismo abbiamo
assistito a prese di posizione di associazioni private e di società
scientifiche che hanno conquistato l’attenzione e la fiducia del Parlamento
Italiano in virtù di una scientificità delle loro tesi che si stanno rivelando scientifiche
tanto quanto altre che non sono state prese in considerazione dagli
organismi istituzionali dello Stato. Come per l’autismo sarebbe auspicabile che
la SPI e le società scientifiche a indirizzo psicodinamico prendessero
posizione stigmatizzando questi orientamenti pseudoscientifici che non fanno
bene ai bambini. I dettami della Consensus Conference, i protocolli diagnostici
scaturiti da quei documenti e fatti propri dalle Regioni con tanto di
quantificazione dei tickets corrispondenti per le valutazione funzionali dei
bambini, sono diventati un meccanismo seriale stritolante da cui i
professionisti dei servizi pubblici non riescono – se non a rischio di
infrangere la legge – a sottrarsi. Questo esito, di cui certo cognitivismo
neuropsicologico porta la responsabilità maggiore, deve essere contrastato
nell’interesse generale della salute pubblica.
GRUPPO DI STUDIO ALFA ANCONA