lunedì 2 maggio 2016

Il report del Convegno del 9 aprile.

APPRENDIMENTO TRA NATURA E AMBIENTE. Riflessione sui DSA.

Lo scorso 9 aprile si è tenuto nelle Marche, a Loreto, il Convegno Nazionale dal titolo: “Apprendimento tra natura ed ambiente. Riflessioni sui DSA”.
Il Convegno ha visto la luce in un periodo in cui il più vasto movimento psicoanalitico sembra mostrare interesse per una tematica rimasta in questi anni, nel Movimento, molto in ombra: i disturbi di apprendimento nell’infanzia. N. 125 i partecipanti presso il Teatro Comunale: il 50% insegnanti e personale del mondo della scuola in genere; l’altro 50% composto da psicoterapeute, psicoanaliste e da professionisti della “sanità”.

Chairman della mattinata la Dott.ssa Carla Busato Barbaglio che ha aperto i lavori a nome del Centro di Psicoanalisi Romano di cui è Presidente.
La Dott.ssa partendo dal riconoscimento di un impasto tra mente e corpo si è interrogata sulla specificità della crescita umana. Le nostre esistenze, i nostri cervelli, il nostro soma sono sistemi complessi in continua interazione tra loro che si riorganizzano per tutta la vita. Una grande quantità di ricerche e di studi degli ultimi 20 anni nel campo evolutivo e neurobiologico postula che il cervello umano sia biologicamente progettato per essere strutturato dalle esperienze sociali: cognizioni ed affetti sono un impasto unico. Alcuni studi recenti mostrano come le stesse strutture cerebrali che presiedono alla organizzazione della esecuzione motoria abbiano un ruolo nella comprensione semantica del linguaggio. Pare che molti disturbi attuali dell’apprendimento siano legati all’introduzione (negli USA dal 1930, in Italia dal 1970) del metodo globale: problemi di lettura che alcuni hanno denominato “dislessia educativa”. Un insegnante segnalava: negli ultimi anni dapprima è comparso il “disturbo dell’attenzione”, poi il “disturbo dell’iperattività”, poi il “disturbo oppositivo provocatorio”, poi il “disturbo della condotta”, poi “la dislessia”, poi “la disgrafia”, poi “la discalculia”… ma verrà introdotta anche la “distrigonometria” o la “discalculia infinitesimale”? E’ utile porsi interrogativi sulle ondate diagnostiche legate a problemi inediti e a non saper aspettare i tempi diversi dei bambini preferendo etichettarli prematuramente. Ha poi confidato che il Convegno possa essere proficuo nel rispondere almeno ad alcune delle numerose domande che è lecito porsi quando ci si addentra nei meandri dei disturbi di apprendimento.
Il ripristino di funzioni deficitarie dovrebbe comunque prevedere, come suggerisce Shore, programmi psico-educativi dove oltre all’aspetto cognitivo ci si prenda cura anche dell’aspetto relazionale.

Il Dott. Ferdinando Benedetti ha presentato il racconto di due situazioni di ragazzi (già precedentemente valutati da altri servizi privati e pubblici) entrati in valutazione presso una Unità Multidisciplinare per l’Età Evolutiva, per il rinnovo della diagnosi di DSA in vista dell’esame di terza media: il risultato sorprendente è stato, a 13 anni, “il ritardo mentale” (la diagnosi di DSA prevede l’assenza del ritardo mentale). La tesi sostenuta dal dott. Benedetti non si è limitata ad evidenziare gli effetti iatrogeni di un eccesso di diagnosi di DSA oggi in Italia, ma ha sottoposto a critica lo stesso costrutto del Disturbo Specifico di Apprendimento. Nel manuale ICD-10 infatti il costrutto è riferito esclusivamente a cause di carattere neurobiologico. Il che entra in contraddizione con quanto le stesse neuroscienze e non solo la psicoanalisi hanno messo in luce negli ultimi anni: l’intreccio inestricabile di fattori biologici e fattori emotivo relazionali nello sviluppo degli individui a partire dai primi mesi di gravidanza. In virtù di tale intreccio diventa pertanto impossibile stabilire l’esistenza di una causa neurobiologica del disturbo di apprendimento. Ne discende, per coerenza logica, che i disturbi di apprendimento sono tutti aspecifici in quanto indissolubilmente legati alla storia biologico-emotivo-relazionale del soggetto.

Il prof. Giuseppe Cossu, neurobiologo, ha parlato dell’origine multifattoriale dei disturbi di apprendimento e delle scoperte dell’epigenetica: le cellule neuronali appaiono oggi particolarmente plastiche e trasformabili durante tutto il corso della vita.
Ha illustrato il metodo della ricerca neuropsicologica rivolta a studiare la lettura e la scrittura come meccanismi neuro funzionali. La ricerca deve primariamente circoscrivere un oggetto di indagine. Mentre nella clinica l’oggetto di indagine è l’intera persona, nella ricerca neuropsicologica l’oggetto di indagine è costituito dalla struttura cerebrale che sovraintende alla lettura e alla scrittura nonché dai processi di funzionamento di questa struttura. Nella lettura e scrittura il meccanismo è combinatorio di sillabe e non ha nulla a che fare con i significati. E’ un sistema di convenzioni arbitrarie cui noi attribuiamo significati attraverso altre parti del cervello. Il punto di osservazione da cui guardiamo il nostro oggetto di indagine è decisivo per i risultati della ricerca. Che cosa acquisisce un bambino quando impara a leggere e scrivere? Quali risorse neuro funzionali vengono messe in campo? La ricerca tenta di definire un modello della struttura del sistema che sovraintende alla lettura e scrittura. La struttura di un sistema linguistico è data dalle unità fisiologiche di base, le sillabe. Componendo le sillabe è possibile comporre un numero infinito di parole. Il bambino deve arrivare all’intuizione della componibilità delle sillabe. Meno del 2% della popolazione infantile è DSA, ma i bambini con difficoltà di lettura e scrittura sono almeno il 12%. Il Prof. Cossu ha riconosciuto che i sistemi diagnostici vigenti non favoriscono l’aiuto dei bambini. La ricerca neuropsicologica consente, già ora, in caso di disabilità, di trovare “il pezzo rotto della macchina”. Di qui la messa a punto delle prassi riabilitative o abilitative. Il Prof. Cossu ha poi raccontato i progressi che si sono fatti nella conoscenza dei processi che governano la lettura e la scrittura. I sistemi di lettura sono sistemi parassiti rispetto alla lingua. Se la lingua funziona male il sistema ortografico ne risente. Tutti i sistemi ortografici sono sistemi di rappresentazioni di unità sub lessicali e e quindi non rappresentano il significato. La ricerca ha dimostrato come il circuito per l’apprendimento dell’ortografia sia sempre il medesimo nelle varie parti del mondo e tra le varie culture, ma nel caso della lingua inglese si attiva maggiormente la componente visiva.
Posto che la mente funziona a pezzi il prof. Cossu ha spiegato che vi è una modularità nell’apprendimento delle diverse funzioni che favoriscono/impediscono l’apprendimento e questo risente di una multifattorialità (componente biologica e componente psicologica). Lo studio della multifattorialità rende evidente il coinvolgimento di un numero talmente grande di variabili che resta difficile isolare le cause dagli effetti.
Certamente, sostiene il prof. Cossu, è necessaria una quanto più attenta analisi della struttura del sintomo (cosa sbaglia, come sbaglia e la soluzione che il bambino trova) perché individuare questo permette anche di proporre sotto il profilo neurocognitivo dei correttivi.

Il Dr. Marco Mastella ha apprezzato l’utilità della ricerca neuropsicologica tesa ad evidenziare i processi di funzionamento normale della mente e i fenomeni sottesi alle disabilità. Ha riscontrato tuttavia i limiti delle scelte operative della Sanità Pubblica (in particolare i sistemi diagnostici introdotti nelle istituzioni pubbliche e private a seguito della Legge 170/2010 e della Consensus Conference) che fonda attualmente le proprie prassi esclusivamente su modelli cognitivo comportamentali che marginalizzano nei metodi di indagine gli affetti e le relazioni familiari. Ha poi fornito una rassegna dei principali contributi scientifici sui DSA: una parte di tali contributi sostiene l’esistenza di una peculiare vulnerabilità neurobiologica dei bambini (soprattutto dislessici) che sarebbe all’origine dei disturbi e del successivo disadattamento scolastico; un’altra parte, di ricercatori di indirizzo psicoanalitico, mettono in evidenza le correlazioni tra i disturbi di apprendimento e le fantasie, i vissuti e le esperienze della prima infanzia di questi bambini. Ha concluso il suo intervento mostrando attraverso un video i progressi di un bambino dislessico in psicoterapia psicoanalitica.

Il dibattito della mattina oltre a colleghe e colleghi psicoterapeuti dell’infanzia ha visto anche gli interventi di alcune insegnanti, le quali hanno evidenziato la difficile gestione dei bambini con diagnosi DSA in classe anche in virtù dei provvedimenti dispensativi e compensativi ed il rischio di esclusione o di marginalizzazione che ne deriva. Gli insegnanti hanno anche lamentato la mancanza di interlocutori istituzionali con cui avere un confronto.

Il Dr. Massimo Nardi ha coordinato le relazioni del pomeriggio. Nella sua introduzione il Dr. Nardi ha richiamato la metafora del cigno nero utilizzata da Popper e richiamata la mattina dal Prof. Cossu per proporre un parallelismo con i bambini cigno nero che gli psicoterapeuti incontrano nel corso del loro lavoro. Il vertice psicoterapico riesce a mantenere un quadro d’insieme della persona all’interno del quale si colloca anche il disturbo di apprendimento. In psicoterapia si lavora anche sul dare un senso e un significato a questo o quel disturbo. I soggetti che sono coinvolti nelle diagnosi di DSA verosimilmente vivono drammaticamente questa loro diversità: i bambini si accorgono di essere considerati disabili e ne soffrono. Occorre inoltre che la psicoanalisi faccia autocritica sulle origini psicogene dei disturbi evolutivi così come si è fatto con l’autismo in quanto non c’è solo una origine psicogenetica ma anche biologica.

La Dr.ssa Elisabetta Greco ha sostenuto che nella individuazione dei disturbi di apprendimento “l’individuazione e la definizione di un qualche difetto di abilità è sicuramente utile a descrivere come mai il proprio studente o bambino non ‘funzioni’ come ci si aspetterebbe di fronte ai consoni compiti evolutivi, ma è anche (tale tipo di diagnosi) uno strumento incompleto, che si attiene alle caratteristiche di superficie del disturbo e non informa affatto della condizione che lo ha provocato, tantomeno indica le migliori strategie di intervento”. Ha poi aggiunto che la distinzione tra vari tipi di disturbi di apprendimento “è utile per motivi diagnostici e prognostici, ma nel mio pensiero mi raffiguro un continuum di condizioni fenotipiche in cui si possono manifestare i diversi disturbi di apprendimento, che vanno dalle alterazioni dello sviluppo più gravi a quelle più lievi o alle subcliniche, fino ad arrivare alle condizioni in cui alcune abilità si presentano invece potenziate”. Infine ha illustrato tre casi di bambini con diagnosi “descrittiva” di dislessia seguiti con psicoterapia psicoanalitica che sono migliorati sia come sviluppo dell’identità sia come attenuazione del sintomo dislessico.

Le relazioni delle Dottoresse del Gruppo di Studio Alfa (dott. sse Bussolotti Federica, Canalini Valentina e Lo Presti Valentina), psicoterapeute infantili del Centro Studi Martha Harris di Bologna, modello Tavistock, riguardavano situazioni cliniche di bambini con Disturbi Aspecifici dell'Apprendimento. Due situazioni, in particolare presentavano bambini con disturbi del linguaggio che – stante l’attuale sistema diagnostico istituzionale e la prevalenza, sul mercato, di interventi riabilitativi – avrebbero potuto in seconda elementare essere diagnosticati DSA. Le due psicoterapie hanno svolto una funzione preventiva poiché i bambini hanno acquisito, attraverso la psicoterapia, un linguaggio adeguato per la loro età, ma prima di tutto una intenzionalità comunicativa.  
Era interesse delle psicoterapeute mostrare che nei casi in cui il bambino si attarda nello sviluppo emotivo, affettivo e relazionale svelando un sé troppo primitivo, il ritardo del linguaggio e di apprendimento sono una possibile conseguenza. Il trattamento di elezione in questi casi è la psicoterapia psicoanalitica.

La Dr.ssa Maria Luisa Mondello ha presentato un lavoro dal titolo singolare: “Leggere e scrivere; disturbo da stress post traumatico da a, A, a, A”. La ricerca neurobiologica e la clinica psicoanalitica, sempre meglio integrate, spingono a considerare la crescita infantile come frutto di un complesso dispiegarsi e connettersi di componenti micro-macro-bio-genetico-psichico-relazionali. Siamo corpo che è mente, naturalmente culturali, genetica che dialoga con l’ambiente. I bambini imparano a parlare all’interno di una finestra temporale che va dai 18 mesi ai tre anni mentre imparano a leggere e scrivere all’interno di una finestra temporale che va dai 4 anni ai 7 anni. Indipendentemente dalle aspettative degli adulti e dai programmi scolastici, è indifferente se un bambino rispetta i tempi o si attarda all’interno della finestra sopra descritta. Perché questo apprendimento avvenga non è necessario un insegnamento sistematico: il bambino impara se può esprimere il suo desiderio di fare come i grandi ed orientarsi nel mondo. Ogni bambino ha i suoi tempi. Da questo punto di vista le forzature che possono calare sul bambino dal mondo della scuola o dalla famiglia costituiscono un ulteriore appesantimento che peggiora la situazione.
Il linguaggio compare nel libero gioco acquisitivo frutto di una naturale propensione del piccolo, accompagnato da inviti affettuosi di nonni, zii e genitori a dire di volta in volta: mamma o papà o altro, ma senza insistenze prestazionali, senza insegnamento metodico.
Le 20 parole allo scoccare dei 2 anni sono un criterio puramente statistico: la mancata acquisizione dovrebbe incuriosire ad interessarsi dello sviluppo globale del bambino e non sfociare meccanicamente in una logopedia. La scuola materna ha assunto però negli anni sempre più le caratteristiche di un percorso pre-scolastico piuttosto che porsi nella continuità dell’attenzione “materna” alla crescita. Non ci sono voti o promozioni alla scuola materna, ma è costante l’essere invitati, e in un ovvio confronto, a “funzionare” come gli altri. Non è sillabare a un bambino le parole o spingerlo a scrivere negli spazi, che “insegna” a un bambino a parlare; occorre che il bambino colga nel parlare o nello scrivere il modo per soddisfare i propri desideri nel rapporto con quegli adulti che si occupano di lui. In questo senso l’adulto deve proporsi come modello che attribuisce valore ai discorsi. Non c’è aspetto della vita mentale e della crescita che non si nutra della sostanziale relazione con l’altro. Apprendere è implicito ed esplicito. Tutto quello che i bambini apprendono e realizzano nella prima infanzia non sembra avere necessità di essere prima pensato e poi amministrato in dosi piccole e rese concatenabili dall’adulto. I bambini non hanno bisogno delle istruzioni per l’uso. La lettura e la scrittura, come il linguaggio, sono nella disponibilità del bambino a patto che li incontri con piacere, interesse, desiderio, potendo fare, soprattutto fare, fare. Con le proprie mani e non schematizzati dalle pratiche scolastiche. Gli esercizi propedeutici proposti a scuola pretenderebbero come nell’addestramento militare che tutti marcino con lo stesso ritmo e cadenza. Ma non tutti i bambini sono uguali ed hanno gli stessi tempi di sviluppo. Ho coniato pensando ai bambini che hanno tempi diversi, parafrasando il DSM, la voce “sindrome da stress post traumatico da “a, A, a, A”. Essere esposti prima di aver maturato la propria esperienza appassionata nel mondo delle parole, del leggere e dello scrivere, è come mettere in piedi un bambino che non è pronto a camminare e provare ad insegnarglielo.
Sarà interessante – ma ancora così non è – poter apprezzare sul piano della ricerca neurobiologica un restringimento del campo dei disturbi specifici di apprendimento rispetto all’attuale dilagare diagnostico. Ciò sarà forse possibile dopo aver distinto i disturbi di apprendimento legati al fitto dialogo tra la relazionalità interumana e le spinte corporee. In questo modo sarà forse possibile restringere il campo dei DSA a condizioni primarie di disfunzionalità cerebrale da accogliere ed a volte vicariare.

                                                                                  Dott.ssa Michela Salerni


Loreto, 30/4/2016